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di Sebastiano Aglieco

• tratto dal sito Compitu Re Vivi - Officinae

Una stagione nascosta, Vincenzo Di Maro

« È necessario che ogni lettore, di fronte a un libro complesso e fruibile per diverse stratificazioni di senso, elabori un proprio percorso di significati, persino di strategie di lettura.

E’ operazione indispensabile nel caso di opere come questa in cui cultura poetica e filosofica s’intrecciano, lasciando ampio spazio a voragini e faglie di significato. »

« Nel vasto affresco della sezione iniziale, Tavole della sorte, l’immagine della “tavola” ci suggerisce l’esperienza della navigazione, le carte nautiche per varcare il periglioso mare. “Tavola” come spazio dell’orientamento, tra il prima e il dopo della Storia, tra memoria e smemoramento - persino i segni grafici adoperati da Di Maro suggeriscono percorsi, direzioni. »

« Ma “tavola” anche come metafora di una geografia che non si restringe, che allarga gli orizzonti fino a un punto in cui nulla risulta più necessario e nominabile. »

« Vale la pena, allora, leggere senza interruzioni, attraversando le increspature del libro, intese proprio come deformazioni dello spazio/tempo che abitiamo. Persino “fori”, espressione del desiderio di essere in un altrove e di ritornare; di cercare altre parole; di investire seriamente la poesia della sostanza del mistero, del suo essere linguaggio dislocato tra il pienamente compiuto e il compimento dell’entropia. »

« Il viaggio ha inizio da una grotta e si conclude, come in una macchina del tempo, tra le strade di una grande città del Nord: a Milano, in preghiera:

…tienimi entro questa
memoria possibile, tanto dolente
quanto illusoria. Nel breve strazio
della giovinezza.

( p. 76 )

Si conclude, questo viaggio, nel breve tempo che abitiamo, custode di tutti i misteri e di tutte le possibilità delle domande non risolte. »

« Prima della grotta, però, prima dell’inizio, esiste il prologo, quadro di un avvenire che si squadernerà per pagine successive, sotterrato nel suo mistero e nelle sue brevi accensioni di luce. Parla qualcuno: parla della “carne che in sorriso vacilla, che in rischio / si appartiene, le città dove il giorno / serba tre nomi ”; parla di sparizione, di segreto e di battesimo. »

« Siamo nella breve casa dell’inizio prima che l’essere sia. E’ una specie di premessa giovannea, uno stato d’allerta, una chiarificazione nella forma misteriosa della visione e della profezia. Profezia e visione sono in effetti le prime parole che mi vengono in mente già dal primo testo “Lascaux, adesso”, in cui l’avo si alza in piedi e “sogna la razza”. »

« Sognare, nella cultura degli antichi, è un presagire; non avvertire il futuro, ma annusare ciò che è scritto da sempre nella natura della carne. “La lingua un giorno appresa dagli ulivi / tornerà ”… mentre noi siamo “lallazione tra notti / che sollevano polveri ( p. 75 ) è detto nel penultimo testo che conclude il libro. »

« Se dunque il cerchio si chiude tornando allo stesso punto di partenza, non c’è discorso o scoperta ma solo avventura; accumulo di indizi, stratificazioni successive di fatti che perdono memoria. Non c’è altro che la caduta, “Che cosa elenca, il corpo, mentre cade?( p. 14 ). In questa caduta c’è la storia dell’essere, quella di un senso nascosto e sotterrato e quello dell’accadere in faccia alla Storia, alla successione degli eventi. »

« Dopo la caduta si ha il rialzarsi, il proiettare avanti l’ignoranza dell’inizio tramandandola alle generazioni future. »

(...)

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