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di Elio Grasso

• tratto dal sito La dimora del tempo sospeso

« Dopo il superamento delle “faglie”, quando si oltrepassano Alpi e altopiani, attraverso conglomerati zanzottiani e colli Euganei dove farsi notificare la presenza, e il superamento di fiumi e assi fluviali, nella regione abitata da Alessandra Pellizzari si giunge quasi sempre alla distesa lagunare dove la legittimità poetica sembra più consenziente e necessaria, e il poeta più esposto a legami linguistici e marinari.

Dalla pianura acquorea la trama labirintica assume la forma di un pesce, i canali s’infittiscono alla più corta misura e ci si accorge di avere un bisogno di realtà, di uno strumento che fermi alla banchina, alle fondamenta: ecco i “nodi parlati”, nodi di avvolgimento sicuri per l’ormeggio e facili da sciogliere per necessità di veloci ripartenze. »

« Dunque sono Nodi parlati le recenti prove di Alessandra, tese a raggiungere e confrontarsi quelle che lei definisce “Lacune” di Laguna, interruzioni o mancanze che ostacolano i movimenti di chi nella natura è cresciuto nascendo da avi rispettosi e ricchi di spirito. Una lingua mai distolta per secoli, architettonicamente leggibile da tutti, mentre oggi ci si addentra soltanto percorrendo anfratti, rii, sotto architravi, e facendosi largo fra la melma depositata dalla nostra contemporaneità perduta. Perché da molti anni la lingua di Venezia è costipata come un’anima aperta alle ferite. Variazioni a lungo impreviste, i loro effetti, sono ripresi dall’occhio fotografico dell’autrice mentre segue il volo degli uccelli migratori nei venti sabbiosi, alla ricerca di verità che appaiono taglienti. La pietra d’Istria mostra l’evidenza della ruggine giunta fin qui. Gli alabastri e gli archi dorati ancora riescono a tenere a fuoco il filo geografico, non si sa per quanto, ma i versi delle poesie non sono apologetici, si restituiscono con gli stessi materiali da cui originano, nel destino psichico che Pellizzari vuole a ogni costo rimandare allo straniero. »

« La sostanza terrestre a cui ci ha introdotto questa ricerca poetica, fin dai tempi di Lettere a cera persa e Mutamenti, s’increspa di più a ogni nuova uscita, configurandosi a tratti come aperta ribellione, lezione di realtà, mentre la lingua non perde la guida e la voce s’insinua rapida e tagliente nelle fessure attestanti il “fuori sesto”, che non è solo temporale ma di fatto tellurico. La versione inglese di Patrick Williamson (Clove Hitches, a Venice poem), concentrata e garbata, segue le orme dell’autrice, riflettendosi come se il muto Pound nelle Calli avesse ricevuto una spinta a parlare, fra un gelato e l’altro insieme a Olga Rudge. Come ben sapeva Hugo Pratt, le favole ancora possono avverarsi dentro lo stampo ittioforme di Venezia. E non era da meno Jean Giraud (Moebius) nel suo Venezia celeste. La lingua inglese s’assesta nei territori lagunari, gli scrittori d’Oltremanica e d’Oltreoceano ne accarezzano il fluire, e spesso con dinamismo hanno resistito ai mutamenti epocali, inseguendo i suoni e gli scavi dentro l’italiano arricchito instancabilmente da certi poeti. Nodi parlati esprime gli odori e i suoni, talvolta ovattatati e talvolta limpidi secondo il moto delle maree e dei venti, che il corpo lagunare prodigiosamente conserva per chi vuole attraversarlo e cantarlo: è la resistenza della natura fatta lingua necessaria, positiva, vi si ascoltano i passi odierni, cauti e attenti, e i passi degli artefici letterari che la città millenaria teneva per sé prima che le pallottole, la pazzia o la vecchiaia li facessero fuori. »

« Un mondo di creature che intentano relazioni con quanto ancora sopravvive: in queste poesie la fluidità delle immagini è compagna dei salti linguistici verso cui la ricerca poetica di Pellizzari è da sempre concorde. Ora con qualcosa in più: la strada civile e materna ritrovata nel complesso tessuto del territorio natìo. »

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Nodi parlati
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